TABLEAU-TABLETTE, solo design e artigianato?
Intervento di MASSIMO PISTELLI
Intervento di MASSIMO PISTELLI
Qual è il confine tra l'arte e il design? C'è un modo per stabilire quando un oggetto è espressione artistica e quando invece è un oggetto d'uso? Facile quando si tratta di una forchetta o di una lampada o di un mobile, ma quando si tratta di un quadro o di una decorazione? Non sono anche questi oggetti d'uso? Non “servono” a qualcosa come arredare o comunicare?
Se pensiamo alle opere del passato, che per noi sono
indiscutibilmente “arte”, dobbiamo però riconoscere che venivano create su
commissione e avevano sempre una funzione d'uso. Esattamente come gli oggetti
di design. L'artefice era riconoscibile e ci metteva molto del suo. Esattamente
come negli oggetti di design. Anche in questi il progettista mette molto di sé
e della sua visione del mondo, ma lui lo chiamiamo progettista e l'altro
artista.
Solo in un passato più recente, a partire
dall'Illuminismo e soprattutto con il Romanticismo, l'espressione di sé è
diventata irrinunciabile e gli oggetti artistici hanno perso il loro carattere
funzionale o è diventato molto secondario e si è creata una frattura tra arte e
design che tuttavia non sempre è netta e riconoscibile.
Dov'è il confine tra arte e decorazione? Cos'è l'arte?
Cos'è oggi e cos'era nei molteplici passati e nei molteplici luoghi? Anche
l'artista è stato di tutto, dal servo all'impiegato, dallo strumento totalemnte
in mano al potere, all'uomo più libero e anticonformista che si possa
immaginare. Ma anche oggi l'arte e l'artista possono essere svariate cose e la
stessa persona può cambiare fisionomia a seconda di chi lo considera o di come
si considera. Quanti di coloro che si considerano artisti, per noi non sono
altro che più o meno piacevoli decoratori di pareti? Quanti che si considerano
semplici virtuosi della decorazione, rivelano poi inaspettate e sottovalutate
da loro stessi, doti comunicative ed espressive?
Del resto la parola “Arte”, a partire dalla sua radice
nel sanscrito, fino ai termini greci e latini, mette l'accento sull' uomo attivo,
che si muove e agisce più sotto il profilo pratico/tecnico che sotto quello
astratto/spirituale. Anche il termine tedesco Kunst, derivando da können, mette
l'accento sulla capacità dell'uomo di operare praticamente. Ma poi chi
stabilisce il confine tra questo e quello?
Dov'è poi il discrimine tra l'arte e il design? Una
progettazione 'corretta' ma senza anima è pessimo design. Un'opera d'arte senza
consapevolezza critica e quindi senza un percorso progettuale alle spalle, è
carente di qualcosa.
Se ci rivolgiamo al passato la distinzione tra arte e
decorazione diventa meno marcata.
Ci sono poche opere di Giotto che sono firmate e sono
quelle in cui, secondo gli storici, è meno presente la mano dell'artista.
Evidentemente si trattava di un'autenticazione di opere che uscivano dalla sua
bottega, un laboratorio di produzione artigianale e in parte seriale che è cosa
pressoché normale nell'arte fino all'Ottocento. Questo non vuol dire che nel
passato l'artista non avesse margini di espressione personale e anche volontà
in tal senso. Come abbiamo detto sopra, ogni attività creativa è sempre e
comunque un'attività dello spirito, ma l'espressione del proprio “io” non era
preponderante e non era neppure la cosa più gradita o ricercata dalla
committenza, che voleva che l'artista esprimesse soprattutto i valori e le idee
che essa dettava.
Molto interessante il caso di Caravaggio e il fatto
che i committenti non si peritassero a rifiutare opere che qualche cardinale
meno suscettibile non si lasciava scappare. Ma neppure Caravaggio si
scandalizzava o faceva i capricci per un'opera rifiutata, semplicemente la
rifaceva cercando di assecondare di più le richieste di chi pagava.
C'è un importante filone storico artistico che
sostiene addirittura che l'arte contemporanea non ha un rapporto di continuità
con l'arte del passato, ma che è qualcosa di completamente nuovo e mai esistito
prima e che semmai l'arte tradizionale continua oggi nella pubblicità. Una tesi
un po' estrema, ma che ha forti elementi a sostegno come la presenza del
committente e la 'libertà condizionata' dell'artista, mentre quello
contemporaneo ha una libertà totale e incondizionata che nel passato non ha mai
conosciuto. Ma parliamo dell'arte cosiddetta figurativa, perché se consideriamo
l'architettura o il design, torniamo di nuovo ad una libertà relativa se non
molto condizionata. Oggi esattamente come allora.
Sembra quindi che oggi la frattura tra l'architettura
e il design da una parte e le arti figurative dall'altra sia accentuata come
mai lo è stata in passato. E questo in virtù di un cambiamento in atto
nell'arte dell'Occidente a partire dal Romanticismo. La valorizzazione
dell'individuo nelle sue capacità razionali e nell'importanza del suo personale
sentire, hanno individuato nell'arte un terreno congeniale e permeabile di
espressività; ma lo hanno potuto "colonizzare" solo là dove altri
fattori, come il volere e il potere di soggetti esterni all'artista, potevano
non avere un forte o totale potere di condizionamento.
Ma perché questa tendenza è rimasta stabile nel corso degli anni? E lo è
rimasta davvero? E quanto è diffusa tra tutte le tipologie e individualità
artistiche contemporanee?
La mia impressione è che nel corso
degli ultimi decenni si sia molto ridimensionata tra gli artisti, mentre continui
ad essere molto popolare a livello di opinione pubblica e rappresenti uno dei
vari fattori di maggiore incomunicabilità tra il pubblico, la critica e
l'artista.
Mi pare che molti artisti oggi siano
tornati a pratiche e concezioni più in sintonia con con il design e
l'architettura e soprattutto con la grande tradizione storica pre-romantica
nella quale sembrano maggiormente impigliati gli artisti più semplici, meno
attrezzati dal punto di vista critico e culturale.
Libertà condizionate quelle del design e
dell'architettura che tuttavia non impediscono ai grandi di volare alto. Del
resto neppure i condizionamenti di Giulio II o di Leone X o di Paolo III hanno
impedito a Michelangelo o a Raffaello di creare dei capolavori. Eppure quei
condizionamenti c'erano ed erano anche molto pressanti. Il sentiero che si sono
trovati a percorrere loro, come altri grandi artisti come Borromini o Bernini,
è stato talvolta molto stretto, e forse quell'angustia finito per agire da
stimolo e da guida alla nascita del capolavoro. La totale libertà può anche non
essere utile e dover seguire delle regole può stimolare la creazione più di
quanto si possa pensare. Ma i condizionamenti possono essere di varia natura e
non solo della committenza. Pensiamo a Lorenzo Lotto, un veneziano che, per la
presenza di Tiziano e del suo classicismo, non ha spazio nella sua città. Si
deve spostare e si deve creare una riconoscibilità. Certo non tutto lo decide a
tavolino e quell'anticlassicismo, quella vena popolare e un po' ribelle di
sicuro gli appartenvano. Ma si sarebbero manifestate in questa maniera, senza
la presenza a Venezia della figura ingombrante del Vecellio? Un condizionamento
esterno che si è rivelato maieutico per lui.
Dimostrato che la figura dell'artista che esprime
principalmente la propria interiorità è l'eccezione e non la regola nella
storia dell'arte e che vede la luce solo a partire dal Romanticismo, ci si
potrebbe chiedere perché si è tanto imposta e contiuna ad essere così popolare
anche con il cambiare dei tempi.
Varie risposte, anche molto semplici, si possono
reperire dalla sociologia.
Ma non è di questo che intendo parlare. Voglio invece
parlare di arte e di artisti e in particolare di un filone ampio ma un po'
snobbato, che non solo è sempre esistito, ma che è stato preponderante nel
passato: l'arte che ha come scopo principale la decorazione e quegli artisti
che non intendono manifestare la propria visione del mondo, ma creare qualcosa
di bello. Inutile dire che anch'essi esprimeranno molto di se stessi, ma sarà qualcosa
di secondario rispetto alle loro intenzioni prime. Come abbiamo detto sopra è
l'atteggiamento che avevano i grandi artisti del passato. Ma non è un paragone
irrispettoso quello che voglio fare, voglio solo nobilitare un atteggiamento
artistico che sono sicuro, senza il sostegno della storia, verrebbe
sottovalutato.
Il progetto TABLEAU-TABLETTE di Massimo Soldaini nasce
come un'operazione di puro design, dall'incontro tra la decorazione e il
disegno industriale. L'iter creativo è frutto esclusivamente di progettazione,
sia nella scelta dei materiali che nel loro utilizzo. Così come è mutuata dalla
progettazione la tecnica di assemblaggio. Il risultato, dovuto anche alle doti
e alla sensibilità dell'artefice, è qualcosa che ha molto a che fare con l'opera
d'arte e come essa va a decorare delle pareti, svolgendo una funzione che, se
ci pensiamo bene, è più tipica del design che dell'arte. Il suo ideatore si
tiene alla larga dalla parola "arte", ma io invece propendo per
aggiungerla agli elementi che compongono il suo lavoro. Le argomentazioni
precedenti miravano proprio a questo, a dimostrare che la componente
decorativa, commerciale e progettuale è cosa consueta nella storia dell'arte.
Secondo me quella che ne dà l'autore è una lettura troppo riduttiva e le
caratteristiche delle opere e dell'intero progetto in realtà racchiudono più
componenti “artistiche” di quanto non venga dichiarato. Per prima cosa gli va
riconosciuto l'intento di annullare il confine tra arte e decorazione,
esplorando le potenzialità di varie tecniche e materiali in modo da rivestire
di modernità un'essenza molto antica e dando, sull'esempio del passato, una
nuova prospettiva all'operare artistico.
Proprio dando dei confini all'arte, costruendola
“solo” come un oggetto di design, scaturiscono per essa nuove ed ampie
prospettive. Si chiude la parentesi romantica e le sue propaggini e si
riannodano i fili con il passato.
Inoltre dov'è il discrimine tra l'arte e l'operazione
commerciale? Le intenzioni sono insindacabili e pertanto non si possono
prendere in considerazione. Come abbiamo già visto, nel design e
nell'architettura la componente 'commerciale' e utilitaristica è fondamentale.
Ma neppure nelle cosiddette arti figurative si può essere certi che tali
aspetti non esistano o che addirittura non siano prioritari come abbiamo visto
è stato in passato.
Ma passando a considerazioni più strettamente
artistiche, anche l'idea dello smembramento e di un uso parziale o diverso di
ciò che era stato concepito come un tutt'uno ha una forte valenza artistica. La
cosa appare più evidente nelle opere che hanno delle scritte che nascono con un
senso che perdono nello smebramento, ma che conservano in un archetipo non più
ricostruibile fisicamente. Come non pensare a quegli oggetti preziosi che venivamo
messi nelle tombe etrusche o egizie, uscendo così dal mondo, ma entrando nella
dimensione della sacralità e del mistero. Ma anche la confluenza di più mani di
artefici o i molteplici arbitrii dell'acquirente hanno significato artistico.
E' chiaro che la critica artistica al lavoro di Massimo Soldaini non finisce
con queste prime e incomplete osservazioni.
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