17 maggio 2018

TABLEAU TABLETTE - LA FILOSOFIA - a.1 testi


TABLEAU-TABLETTE, solo design e artigianato? 
Intervento di MASSIMO PISTELLI

Qual è il confine tra l'arte e il design? C'è un modo per stabilire quando un oggetto è espressione artistica e quando invece è un oggetto d'uso? Facile quando si tratta di una forchetta o di una lampada o di un mobile, ma quando si tratta di un quadro o di una decorazione? Non sono anche questi oggetti d'uso? Non “servono” a qualcosa come arredare o comunicare? 
Se pensiamo alle opere del passato, che per noi sono indiscutibilmente “arte”, dobbiamo però riconoscere che venivano create su commissione e avevano sempre una funzione d'uso. Esattamente come gli oggetti di design. L'artefice era riconoscibile e ci metteva molto del suo. Esattamente come negli oggetti di design. Anche in questi il progettista mette molto di sé e della sua visione del mondo, ma lui lo chiamiamo progettista e l'altro artista. 
Solo in un passato più recente, a partire dall'Illuminismo e soprattutto con il Romanticismo, l'espressione di sé è diventata irrinunciabile e gli oggetti artistici hanno perso il loro carattere funzionale o è diventato molto secondario e si è creata una frattura tra arte e design che tuttavia non sempre è netta e riconoscibile. 
Dov'è il confine tra arte e decorazione? Cos'è l'arte? Cos'è oggi e cos'era nei molteplici passati e nei molteplici luoghi? Anche l'artista è stato di tutto, dal servo all'impiegato, dallo strumento totalemnte in mano al potere, all'uomo più libero e anticonformista che si possa immaginare. Ma anche oggi l'arte e l'artista possono essere svariate cose e la stessa persona può cambiare fisionomia a seconda di chi lo considera o di come si considera. Quanti di coloro che si considerano artisti, per noi non sono altro che più o meno piacevoli decoratori di pareti? Quanti che si considerano semplici virtuosi della decorazione, rivelano poi inaspettate e sottovalutate da loro stessi, doti comunicative ed espressive? 
Del resto la parola “Arte”, a partire dalla sua radice nel sanscrito, fino ai termini greci e latini, mette l'accento sull' uomo attivo, che si muove e agisce più sotto il profilo pratico/tecnico che sotto quello astratto/spirituale. Anche il termine tedesco Kunst, derivando da können, mette l'accento sulla capacità dell'uomo di operare praticamente. Ma poi chi stabilisce il confine tra questo e quello?
Dov'è poi il discrimine tra l'arte e il design? Una progettazione 'corretta' ma senza anima è pessimo design. Un'opera d'arte senza consapevolezza critica e quindi senza un percorso progettuale alle spalle, è carente di qualcosa.
Se ci rivolgiamo al passato la distinzione tra arte e decorazione diventa meno marcata. 
Ci sono poche opere di Giotto che sono firmate e sono quelle in cui, secondo gli storici, è meno presente la mano dell'artista. Evidentemente si trattava di un'autenticazione di opere che uscivano dalla sua bottega, un laboratorio di produzione artigianale e in parte seriale che è cosa pressoché normale nell'arte fino all'Ottocento. Questo non vuol dire che nel passato l'artista non avesse margini di espressione personale e anche volontà in tal senso. Come abbiamo detto sopra, ogni attività creativa è sempre e comunque un'attività dello spirito, ma l'espressione del proprio “io” non era preponderante e non era neppure la cosa più gradita o ricercata dalla committenza, che voleva che l'artista esprimesse soprattutto i valori e le idee che essa dettava. 
Molto interessante il caso di Caravaggio e il fatto che i committenti non si peritassero a rifiutare opere che qualche cardinale meno suscettibile non si lasciava scappare. Ma neppure Caravaggio si scandalizzava o faceva i capricci per un'opera rifiutata, semplicemente la rifaceva cercando di assecondare di più le richieste di chi pagava. 
C'è un importante filone storico artistico che sostiene addirittura che l'arte contemporanea non ha un rapporto di continuità con l'arte del passato, ma che è qualcosa di completamente nuovo e mai esistito prima e che semmai l'arte tradizionale continua oggi nella pubblicità. Una tesi un po' estrema, ma che ha forti elementi a sostegno come la presenza del committente e la 'libertà condizionata' dell'artista, mentre quello contemporaneo ha una libertà totale e incondizionata che nel passato non ha mai conosciuto. Ma parliamo dell'arte cosiddetta figurativa, perché se consideriamo l'architettura o il design, torniamo di nuovo ad una libertà relativa se non molto condizionata. Oggi esattamente come allora.
Sembra quindi che oggi la frattura tra l'architettura e il design da una parte e le arti figurative dall'altra sia accentuata come mai lo è stata in passato. E questo in virtù di un cambiamento in atto nell'arte dell'Occidente a partire dal Romanticismo. La valorizzazione dell'individuo nelle sue capacità razionali e nell'importanza del suo personale sentire, hanno individuato nell'arte un terreno congeniale e permeabile di espressività; ma lo hanno potuto "colonizzare" solo là dove altri fattori, come il volere e il potere di soggetti esterni all'artista, potevano non avere un forte o totale potere di condizionamento. Ma perché questa tendenza è rimasta stabile nel corso degli anni? E lo è rimasta davvero? E quanto è diffusa tra tutte le tipologie e individualità artistiche contemporanee? La mia impressione è che nel corso degli ultimi decenni si sia molto ridimensionata tra gli artisti, mentre continui ad essere molto popolare a livello di opinione pubblica e rappresenti uno dei vari fattori di maggiore incomunicabilità tra il pubblico, la critica e l'artista.Mi pare che molti artisti oggi siano tornati a pratiche e concezioni più in sintonia con con il design e l'architettura e soprattutto con la grande tradizione storica pre-romantica nella quale sembrano maggiormente impigliati gli artisti più semplici, meno attrezzati dal punto di vista critico e culturale.
Libertà condizionate quelle del design e dell'architettura che tuttavia non impediscono ai grandi di volare alto. Del resto neppure i condizionamenti di Giulio II o di Leone X o di Paolo III hanno impedito a Michelangelo o a Raffaello di creare dei capolavori. Eppure quei condizionamenti c'erano ed erano anche molto pressanti. Il sentiero che si sono trovati a percorrere loro, come altri grandi artisti come Borromini o Bernini, è stato talvolta molto stretto, e forse quell'angustia finito per agire da stimolo e da guida alla nascita del capolavoro. La totale libertà può anche non essere utile e dover seguire delle regole può stimolare la creazione più di quanto si possa pensare. Ma i condizionamenti possono essere di varia natura e non solo della committenza. Pensiamo a Lorenzo Lotto, un veneziano che, per la presenza di Tiziano e del suo classicismo, non ha spazio nella sua città. Si deve spostare e si deve creare una riconoscibilità. Certo non tutto lo decide a tavolino e quell'anticlassicismo, quella vena popolare e un po' ribelle di sicuro gli appartenvano. Ma si sarebbero manifestate in questa maniera, senza la presenza a Venezia della figura ingombrante del Vecellio? Un condizionamento esterno che si è rivelato maieutico per lui. 
Dimostrato che la figura dell'artista che esprime principalmente la propria interiorità è l'eccezione e non la regola nella storia dell'arte e che vede la luce solo a partire dal Romanticismo, ci si potrebbe chiedere perché si è tanto imposta e contiuna ad essere così popolare anche con il cambiare dei tempi.
Varie risposte, anche molto semplici, si possono reperire dalla sociologia. 
Ma non è di questo che intendo parlare. Voglio invece parlare di arte e di artisti e in particolare di un filone ampio ma un po' snobbato, che non solo è sempre esistito, ma che è stato preponderante nel passato: l'arte che ha come scopo principale la decorazione e quegli artisti che non intendono manifestare la propria visione del mondo, ma creare qualcosa di bello. Inutile dire che anch'essi esprimeranno molto di se stessi, ma sarà qualcosa di secondario rispetto alle loro intenzioni prime. Come abbiamo detto sopra è l'atteggiamento che avevano i grandi artisti del passato. Ma non è un paragone irrispettoso quello che voglio fare, voglio solo nobilitare un atteggiamento artistico che sono sicuro, senza il sostegno della storia, verrebbe sottovalutato.  

Il progetto TABLEAU-TABLETTE di Massimo Soldaini nasce come un'operazione di puro design, dall'incontro tra la decorazione e il disegno industriale. L'iter creativo è frutto esclusivamente di progettazione, sia nella scelta dei materiali che nel loro utilizzo. Così come è mutuata dalla progettazione la tecnica di assemblaggio. Il risultato, dovuto anche alle doti e alla sensibilità dell'artefice, è qualcosa che ha molto a che fare con l'opera d'arte e come essa va a decorare delle pareti, svolgendo una funzione che, se ci pensiamo bene, è più tipica del design che dell'arte. Il suo ideatore si tiene alla larga dalla parola "arte", ma io invece propendo per aggiungerla agli elementi che compongono il suo lavoro. Le argomentazioni precedenti miravano proprio a questo, a dimostrare che la componente decorativa, commerciale e progettuale è cosa consueta nella storia dell'arte. Secondo me quella che ne dà l'autore è una lettura troppo riduttiva e le caratteristiche delle opere e dell'intero progetto in realtà racchiudono più componenti “artistiche” di quanto non venga dichiarato. Per prima cosa gli va riconosciuto l'intento di annullare il confine tra arte e decorazione, esplorando le potenzialità di varie tecniche e materiali in modo da rivestire di modernità un'essenza molto antica e dando, sull'esempio del passato, una nuova prospettiva all'operare artistico. 
Proprio dando dei confini all'arte, costruendola “solo” come un oggetto di design, scaturiscono per essa nuove ed ampie prospettive. Si chiude la parentesi romantica e le sue propaggini e si riannodano i fili con il passato.
Inoltre dov'è il discrimine tra l'arte e l'operazione commerciale? Le intenzioni sono insindacabili e pertanto non si possono prendere in considerazione. Come abbiamo già visto, nel design e nell'architettura la componente 'commerciale' e utilitaristica è fondamentale. Ma neppure nelle cosiddette arti figurative si può essere certi che tali aspetti non esistano o che addirittura non siano prioritari come abbiamo visto è stato in passato. 
Ma passando a considerazioni più strettamente artistiche, anche l'idea dello smembramento e di un uso parziale o diverso di ciò che era stato concepito come un tutt'uno ha una forte valenza artistica. La cosa appare più evidente nelle opere che hanno delle scritte che nascono con un senso che perdono nello smebramento, ma che conservano in un archetipo non più ricostruibile fisicamente. Come non pensare a quegli oggetti preziosi che venivamo messi nelle tombe etrusche o egizie, uscendo così dal mondo, ma entrando nella dimensione della sacralità e del mistero. Ma anche la confluenza di più mani di artefici o i molteplici arbitrii dell'acquirente hanno significato artistico. E' chiaro che la critica artistica al lavoro di Massimo Soldaini non finisce con queste prime e incomplete osservazioni.  

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